Sebbene occupino appena il 2% della superficie terrestre, le aree urbane utilizzano il 75% delle risorse naturali che consumiamo1. Città e cittadine sono inoltre responsabili del 70% delle emissioni globali di CO₂ 2 e del 75% delle emissioni legate all’energia3, prodotte principalmente dai trasporti e dal ciclo di vita degli edifici (comprese la costruzione e l’operatività giornaliera). Le città sono una delle principali cause del cambiamento climatico e del degrado del mondo naturale.
Secondo il Dr. Marc Palahí, Chief Nature Officer di Lombard Odier, le città sono anche vittime e coloro che ci vivono sono spesso particolarmente esposti agli effetti dell’aumento delle temperature e degli eventi meteorologici estremi – siccità, inondazioni, incendi incontrollati – come abbiamo potuto osservare in occasione dei tragici incendi scoppiati il 7 gennaio scorso a Los Angeles.
Sebbene occupino appena il 2% della superficie terrestre, le aree urbane utilizzano il 75% delle risorse naturali che consumiamo. Città e cittadine sono inoltre responsabili del 70% delle emissioni globali di CO₂ e del 75% delle emissioni legate all’energia
Nel mondo, due milioni di persone che risiedono nelle città affrontano ogni anno temperature estreme, acuite dall’effetto isola di calore tipico delle aree urbane4. Oltre 800 milioni di persone in 570 città sono esposte all’innalzamento del livello del mare e alle inondazioni costiere5. Al contempo un miliardo di persone nelle città deve fare i conti con la carenza idrica6 e 1,7 miliardi vivono nell’insicurezza alimentare7.
Ecco perché di recente, nella prestigiosa Scuola di Architettura di Yale, esperti provenienti da tutto il mondo si sono riuniti in un simposio di tre giorni per capire come possiamo ripensare i nostri spazi urbani per ridurne l’impatto ambientale e renderli più resilienti agli shock climatici. Nel suo contributo – che si è aggiunto a quello di oltre cinquanta massimi esperti di varie discipline – il Dr. Marc Palahí, Chief Nature Officer presso Lombard Odier, ha spiegato perché nel costruire le città del futuro dovremmo prendere ispirazione dalla stessa natura.
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Assorbire gli shock dell’economia
“Abbiamo raggiunto il punto di non ritorno nella storia dell’umanità”, ha esordito il Dr. Palahí. “E questo è il risultato di oltre 200 anni di un’economia basata sulle attività estrattive e alimentata dai combustibili fossili, che se da un lato ha dato vita a una crescita economica e a uno sviluppo tecnologico senza precedenti, dall’altro lo ha fatto a scapito della natura, del clima e del nostro stesso futuro”.
“Per la prima volta nella storia, l’uomo ha cambiato il clima del pianeta. Stiamo oltrepassando i confini planetari – quegli spazi operativi sicuri del nostro pianeta – con una perdita massiccia di biodiversità, degrado dei nostri sistemi naturali e accumulo di sostanze inquinanti”.
Il pianeta non può più assorbire gli scossoni generati dalla nostra economia che dovrà, quindi, assorbire i propri shock. Nell’ultimo decennio sono raddoppiati i danni globali assicurati dovuti al cambiamento climatico e al degrado della natura
“Il problema è che, sempre più, le violazioni di questi confini si alimentano a vicenda. Se perdiamo le nostre foreste, per fare un esempio, non soltanto perdiamo il più grande serbatoio di carbonio della superficie terrestre nonché una delle principali fonti di ossigeno e acqua, ma rilasciamo nell’atmosfera enormi quantità di carbonio. Questo accelera il cambiamento climatico e le perturbazioni naturali, come gli incendi incontrollati, che a loro volta distruggeranno altre foreste e rilasceranno più carbonio. Ci troviamo dunque in un circolo vizioso. Lo abbiamo visto con i vasti incendi scoppiati in Canada nel 2023, che hanno bruciato quasi 20 milioni di ettari di foreste e in soli pochi mesi hanno rilasciato una quantità di emissioni pari a 3,5 volte quelle annue del Canada”.
“Il pianeta non può più assorbire gli scossoni generati dalla nostra economia che dovrà, quindi, assorbire i propri shock. Nell’ultimo decennio sono raddoppiati i danni globali assicurati dovuti al cambiamento climatico e al degrado della natura. Attualmente, la nuova normalità è oltre 100 miliardi di dollari all’anno di perdite assicurate derivanti da eventi catastrofici provocati dal clima. Questo potrebbe essere un anno di primati, dato che per un solo evento – i recenti incendi incontrollati di Los Angeles – si stima che i danni assicurati si aggirino sui 35 miliardi di dollari. Tuttavia, come è normale, le perdite economiche totali sono comunque molto più elevate”.
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Le città danno forma al mondo
Ad ogni modo, se è vero che le città sono spesso la prima linea in fatto di danni climatici, è altrettanto vero che possono diventare una parte fondamentale della soluzione, ha spiegato il Dr. Palahí. “Noi diamo forma alle nostre città e loro danno forma al nostro mondo, alla nostra economia, al modo in cui viviamo e consumiamo e al modo in cui pensiamo. Ecco perché le città sono così importanti”.
“Vi sono molti modi per integrare le soluzioni basate sulla natura nei nostri interventi di risanamento urbano. Adottandoli potremo non soltanto favorire la mitigazione del cambiamento climatico, ma anche promuovere spirito di adattamento e resilienza” ha proseguito.
Negli ultimi anni un numero crescente di operatori del settore edilizio ha accolto l'appello a ricercare soluzioni basate sulla natura. Negli Stati Uniti, ad esempio, il produttore di cemento Biomason ha preso ispirazione dal modo in cui crescono i coralli per creare un biocemento prodotto in laboratorio che è del 20% più leggero di quello tradizionale, tre volte più resistente e, fondamentalmente, a neutralità carbonica.
Poiché il legno è un deposito naturale di carbonio, questo nuovo approccio all'edilizia può ridurre l’intensità carbonica perfino del 90% e le emissioni globali di CO₂ anche del 31%
Per quanto concerne le alternative più tradizionali, il Dr. Palahí ha osservato che “il legno, il materiale più versatile della Terra” può essere trasformato in legname lamellare, solido e leggero, capace di sostituire gli elementi strutturali in calcestruzzo e acciaio, anche negli edifici multipiano. Poiché il legno è un deposito naturale di carbonio, questo nuovo approccio all'edilizia può ridurre l’intensità carbonica perfino del 90% e le emissioni globali di CO₂ anche del 31%8, “trasformando città ed edifici in una grande infrastruttura di stoccaggio del carbonio”9.
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Integrare la natura nei paesaggi urbani
Oggi, urbanisti, costruttori e architetti sono sempre più inclini ad accogliere l’invito del Dr. Palahí di guardare alla natura per trarne ispirazione. Farid Mohamed, ingegnere della società statunitense di consulenza Biomimicry 3.8, ritiene che i nostri edifici e paesaggi urbani dovrebbero cercare di imitare la natura: “Se la vostra idea era creare una struttura come quella di una fabbrica nei pressi di una foresta, allora quell’ambiente urbano dovrebbe operare allo stesso livello della foresta accanto. Dovrebbe cioè essere in grado di svolgere le funzioni di ecosistema, quali la gestione delle acque meteoriche, il ciclo dei nutrienti, il filtraggio dell’aria e la promozione del benessere delle comunità”.
Si stima che per le persone che vivono nelle città, integrare la natura potrebbe ridurre il picco delle temperature urbane di 1-3 gradi Celsius, mentre un rimboschimento di appena il 5% delle zone montuose a ridosso delle città potrebbe proteggerne gli abitanti attenuando i valori di picco delle piene
Questo approccio diventa forse ancora più evidente con il concetto di “città spugna“ che negli ultimi anni ha trovato spazio in decine e decine di metropoli in tutto il mondo: anziché affidarsi esclusivamente a infrastrutture artificiali per evitare le inondazioni, le città spugna assorbono, puliscono e incanalano le acque meteoriche verso piante, alberi, suolo, fiumi e laghi. Il risultato è un approvvigionamento idrico più pulito e sicuro per coloro che vivono nelle città, un minore effetto isola di calore, più “natura in città” e un rischio decisamente minore di inondazioni10.
Si stima che per le persone che vivono nelle città, integrare la natura potrebbe ridurre il picco delle temperature urbane di 1-3 gradi Celsius11, mentre un rimboschimento di appena il 5% delle zone montuose a ridosso delle città potrebbe proteggerne gli abitanti attenuando i valori di picco delle piene12. Parlando al simposio di Yale, il Dr. Palahí ha affermato che “così facendo creeremmo un sistema di sequestro del carbonio che favorisce la biodiversità e accresce la resilienza del paesaggio. La nostra migliore assicurazione è la natura”.
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Sblocchiamo la crescita rigenerativa
Dal punto di vista degli investitori, ha osservato il Dr. Palahí, questo approccio che priorizza la natura “non deve indurre a scegliere tra la protezione del patrimonio naturale e lo sblocco della crescita, perché questi obiettivi possono essere perseguiti congiuntamente”.
Secondo il Dr. Palahí, la transizione verso un’economia rispettosa della natura renderà i paesaggi urbani e quelli naturali più resilienti agli shock climatici, liberando anche nuove energie per lo sviluppo rigenerativo. In Europa, ad esempio, si stima che mettere la natura al centro della riqualificazione urbana potrebbe generare 575 miliardi di euro di nuove entrate13. In Africa, dirottando il 50% dell’utilizzo di legno verso l’ambiente edificato, si potrebbero creare 8 milioni di posti di lavoro, 5 milioni di nuove unità abitative e una crescita del valore di 200 miliardi di dollari14. A livello globale, invece, il mercato del legno ricostituito per uso edile è destinato a crescere a un tasso composto del 5,3%, passando da 254,2 miliardi di dollari nel 2023 a 427,3 miliardi di dollari nel 203315.
In Europa, ad esempio, si stima che mettere la natura al centro della riqualificazione urbana potrebbe generare 575 miliardi di euro di nuove entrate
Questa transizione è fondamentale, ma non sarà facile, ha avvertito il Dr. Palahí che ha, poi, aggiunto: “Un’economia incentrata sulla natura mette anche le persone al primo posto, perché noi siamo parte integrante della natura”. “La nostra più grande sfida, tuttavia, non sta nella mancanza di tecnologie o normative o ancora nella finanza, ma nelle nostre menti. È stato cambiando la mentalità collettiva che ci siamo ritrovati con 200 anni di pensiero economico che ha privilegiato le attività estrattive e i combustibili fossili”.
“Se vogliamo cambiare tutto questo e sposare una logica rigenerativa, dobbiamo capire che la natura non ci appartiene. Siamo noi che apparteniamo alla natura. Per miliardi di anni la natura ha fornito soluzioni di pari passo con il cambiamento ambientale in atto. Oggi, dobbiamo essere tanto umili da accettare che sia la natura a indicarci la via”.
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