Ad aprile 2005 un dinosauro in fibra di vetro rosso fuoco, alto 3 metri, fece la sua comparsa sulla scalinata dell’Asian Art Museum di San Francisco con la scritta "MADE IN CHINA" in evidenza. Nel 2017 una versione di 2 metri fu collocata nell’atrio del Denver Art Museum in Colorado. Un terzo esemplare fa parte della collezione del Johnson Museum of Art della Cornell University, nello Stato di New York.
Le opere dell’artista Sui Jianguo offrono una riflessione sul ruolo della Cina come “fabbrica del mondo”. In un paese che produce ed esporta di tutto, dai dinosauri giocattolo ai mega container per il trasporto marittimo, l’etichetta “made in China” è diventata una presenza costante nella vita moderna. Ma questo primato ha un rovescio della medaglia: dal 2005 la Cina è diventata uno dei principali responsabili dei cambiamenti climatici, attestandosi al primo posto tra gli emittenti di gas serra1.
Made in China, di Sui Jianguo, Denver Art Museum
Oggi, però, il marchio “made in China” assume un nuovo significato. Secondo alcune stime, nel 2024 le esportazioni cinesi di pannelli solari, batterie, veicoli elettrici e turbine eoliche hanno contribuito a ridurre dell’1% le emissioni globali e, in meno di un anno, hanno già compensato la CO2 emessa per la loro produzione2. Il contributo della Cina all’energia pulita è ormai visibile in 191 dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite, grazie alla diffusione di veicoli elettrici e alla fornitura di infrastrutture e tecnologie per le energie rinnovabili.3
Per gli investitori orientati alla sostenibilità, il 2025 è stato un anno segnato da forti incertezze. Il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, deciso nuovamente dal Presidente Donald Trump, e lo smantellamento degli impegni ambientali assunti dai suoi predecessori, hanno alimentato timori sulla tenuta delle politiche climatiche. Tuttavia, in Lombard Odier crediamo che stia emergendo una realtà diversa.
La Cina è ancora il nemico numero uno del clima?
Per tanti anni la Cina è stata indicata come il principale il nemico del clima. Basta visitare la centrale elettrica di Yuanyanghu, nella regione cinese ricca di carbone del Ningxia Hui, per comprenderne il motivo. Questo impianto a carbone termico, tra i più grandi del paese, brucia migliaia di tonnellate di carbone al giorno, con ciminiere alte 200 metri che dominano il paesaggio.
Negli ultimi 40 anni, l’ascesa della Cina come motore industriale globale è stata accompagnata da un aumento del consumo di carbone pari a sei volte 4: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), oggi la Cina consuma quasi il 40% di carbone in più rispetto al resto del mondo.5 Se nel 1985 la Cina era responsabile del 10% delle emissioni globali, oggi quella quota è salita a circa il 30%.6
Nonostante le promesse del Presidente Xi Jinping di limitare l’energia a carbone, l’anno scorso il settore ha registrato la crescita più rapida degli ultimi dieci anni7. Con oltre il 90% della nuova capacità globale di energia a carbone attualmente in costruzione o autorizzata in Cina8, per molti osservatori il paese resta ancora “il problema” nella lotta ai cambiamenti climatici.
La Cina detiene oltre il 40% della capacità globale di produzione da fonti rinnovabili, ma il settore, anno dopo anno, continua a registrare nuovi record di crescita
Il paradosso dell’energia
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. Ad appena dieci minuti d’auto dalla centrale di carbone di Yuanyanghu, in direzione sud-est, si trova il vasto impianto solare di Ningdong. Costruito in una zona un tempo occupata da miniere, sotto lo sguardo delle imponenti ciminiere gemelle della centrale termica, il parco genera energia pulita sufficiente ad alimentare un milione di abitazioni.9
Questa strana coesistenza tra carbone e rinnovabili, almeno in apparenza, è il simbolo della transizione in atto. Il parco solare di Ningdong è solo uno dei migliaia di impianti di energia rinnovabile di grandi dimensioni che sorgono in tutto il paese, spesso nelle immediate vicinanze delle centrali a carbone o addirittura integrati con esse.
Nonostante la sua persistente dipendenza dal carbone, il settore energetico cinese mostra una grande fame per le rinnovabili. L’obiettivo del Partito comunista cinese di installare 1200 GW di capacità solare ed eolica entro il 2030 è già stato superato, con sei anni di anticipo.10 La Cina detiene più del 40% della capacità globale di produzione di energie rinnovabili11 e il ritmo di crescita continua a battere nuovi record ogni anno12. Ad oggi il 74% dei nuovi progetti solari ed eolici in costruzione nel mondo si trova in Cina.13
Questa crescita esponenziale ha un impatto non trascurabile. Per la prima volta nella storia, nel 2024 le emissioni totali di carbone della Cina sono diminuite, nonostante l’aumento della produzione elettrica14. Per un mondo che ha un estremo bisogno di invertire la rotta sulle emissioni, questo potrebbe rappresentare una pietra miliare.
Il primo elettrostato al mondo
La crescita nelle rinnovabili in Cina è strettamente legata a un fattore chiave: il processo di elettrificazione avanza ad una velocità superiore rispetto a qualsiasi altra economia. Il settore dei trasporti ne è un chiaro esempio: la Cina dispone della rete ferroviaria ad alta velocità interamente elettrica più estesa al mondo, oltre cinque volte più estesa di quella dell’Unione Europea15, detiene il 90% della flotta mondiale di autobus elettrici16 e, in soli dieci anni, i volumi di vendita di veicoli elettrici (interamente elettrici e ibridi) hanno registrato una crescita superiore di 55 volte17.
Le implicazioni sono profonde. Secondo l’AIE, l’elettrificazione sarà un elemento essenziale per raggiungere l’obiettivo di economia a zero emissioni entro il 2050.18 E senza l’elettrificazione della Cina, prima per emissioni al mondo, lo zero netto non è realizzabile.
Ogni nuova installazione di turbine eoliche, panelli solari e impianti idroelettrici, rappresenta un passo ulteriore verso la sicurezza energetica per un paese che un tempo era fortemente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili
Tuttavia, per il Partito comunista cinese alla guida del governo, l’elettrificazione non è solo una questione climatica. Ogni nuova installazione di turbine eoliche, panelli solari e impianti idroelettrici, rappresenta un passo ulteriore verso la sicurezza energetica per un paese che un tempo era fortemente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili. E, così facendo, si avvia a diventare il primo “elettrostato” al mondo.
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Emergono due chiari vantaggi competitivi. Oggi la crescita economica è subordinata alla domanda globale di elettricità19: poiché lo sviluppo dipende in larga misura dalla disponibilità di energia, diventerà sempre più importante disporre di sistemi energetici efficienti e produttivi. Installando continuamente nuova capacità rinnovabile e promuovendo soluzioni elettriche per gli utenti finali, che sono fino a cinque volte più efficienti delle tecnologie tradizionali a combustibili fossili20, la Cina si sta rapidamente dotando di un vantaggio competitivo.
La Cina domina anche la produzione di tecnologie pulite: più dell’80% dei pannelli solari e delle batterie, più del 60% dei componenti per l’energia eolica e circa il 40% delle pompe di calore prodotti in tutto il mondo sono made in China.21 I veicoli elettrici cinesi hanno anche contribuito a posizionare il paese tra i principali esportatori di auto, superando Giappone e Germania22. Inoltre, la Cina è leader nella produzione di numerosi “metalli per l’energia pulita”, come litio e cobalto, fondamentali per la realizzazione di batterie, pannelli solari e turbine eoliche.23
La leadership nella sostenibilità rafforza il peso geopolitico
Il settore delle tecnologie pulite è diventato uno dei motori principali per l’economia cinese, con un contributo al PIL pari al 10% nel 2024.24 Secondo l’AIE, le esportazioni cinesi di tecnologie green dovrebbero superare 340 miliardi di dollari entro il 2035, pari al gettito petrolifero previsto combinato di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.25
Questa leadership tecnologica si traduce anche in una crescente influenza geopolitica. In risposta ai dazi imposti dagli Stati Uniti, ad esempio, la Cina ha ridotto drasticamente, tra aprile e maggio di quest’anno, le esportazioni di magneti in terre rare (necessari per la trasmissione dei veicoli elettrici) verso gli Stati Uniti. Il risultato? Alcuni stabilimenti automobilistici negli Stati Uniti e nei paesi alleati hanno dovuto sospendere del tutto la produzione di veicoli.26
A giugno, nell’ambito dei negoziati commerciali in corso, la Cina ha revocato le restrizioni e le esportazioni sono riprese velocemente.27 Ma il messaggio è chiaro: se in passato la Cina dipendeva dal resto del mondo per l’importazione di combustibili fossili, oggi è il mondo a dipendere dalla Cina per componenti essenziali delle tecnologie pulite.
Lungi dall’essere cancellata, la sostenibilità sta prosperando, solo non dove ci si aspetterebbe. Oggi la sostenibilità è “made in China”
Il nuovo indirizzo della sostenibilità
In Lombard Odier riteniamo che l’analisi degli investimenti sostenibili debba considerare tre implicazioni fondamentali.
La prima riguarda la comprensione profonda dei cambiamenti strutturali e di lungo termine negli attuali sistemi energetici globali. Non basta investire indiscriminatamente nel “green”: ad esempio, nonostante la crescente domanda mondiale di nuovi impianti di energia solare, molti produttori occidentali di pannelli solari stanno affrontando difficoltà, a causa del crollo dei prezzi, provocato dall’enorme capacità produttiva cinese.
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La chiave è essere in grado di cogliere le innumerevoli opportunità che emergono in risposta agli impegni globali per la sostenibilità. Ad esempio, la diffusione delle energie rinnovabili richiede imponenti ammodernamenti delle infrastrutture di rete con cavi ad altissima tensione in corrente continua (UHVDC) per il trasporto su lunghe distanze. Attualmente la domanda di cavi UHVDC supera l’offerta di oltre due volte e mezzo28, portando il valore totale del portafoglio ordini da 3 miliardi l’anno a 20 miliardi di dollari29. Oggi i principali produttori mondiali di cavi e tecnologia UHVDC sono prevalentemente europei.
In secondo luogo, gli investitori dovrebbero prestare attenzione agli investimenti nazionali, poiché i governi cercano di ridurre la dipendenza dal predominio cinese nelle catene di approvvigionamento. Nel settore dei metalli strategici per la transizione energetica, si prevede la nascita di nuovi impianti di estrazione e lavorazione, oltre a un aumento del riciclo. In Europa ad esempio il riciclo di batterie potrebbe generare un mercato autosufficiente del valore di 8 miliardi di euro30. Vedremo anche innovazioni nelle tecnologie pulite che evitano l’uso di metalli di provenienza cinese. Negli Stati Uniti, ad esempio, nel 2027 entrerà in funzione una nuova centrale da 1 miliardo di dollari per la produzione di batterie al litio-zolfo che non dipendono da grafite, nichel, manganese e cobalto, tutti elementi sotto il controllo cinese.31
Infine, è necessario riconoscere che i motori della transizione globale verso un’economia sostenibile sono cambiati. Se in passato la spinta proveniva da ideologie climatiche, oggi gli investimenti sono trainati dalle forze di mercato, dall’innovazione tecnologica e dal desiderio di indipendenza energetica e industriale.
E se l’Occidente è stato a lungo considerato il centro della leadership climatica, oggi la sostenibilità ha un nuovo indirizzo. Lungi dall’essere cancellata, la sostenibilità sta prosperando, solo non dove ci si aspetterebbe. Oggi la sostenibilità è “made in China”.
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